“Non puoi fermare le onde, ma puoi imparare a surfare”

 

Tutti parlano di numeri, sempre in crescita, numeri terribili di dolore e fatica.
600.000 malati in Italia. 11 miliardi di costi per le cure. 300.000 figli caregiver, 100.000 badanti.

E le persone? Ringrazio Harry Urban ogni giorno, questo fantastico uomo americano che convive con la demenza, che ho avuto l’onore e il piacere di incontrare più volte, con gli operatori del modello Sente-Mente®.

Harry Urban grida a gran voce: io non sono la mia malattia! Io ho la demenza, ma la demenza non avrà me.

Eh sì, perché ogni volta in cui teniamo la nostra attenzione sulla persona e non solo sulla sua malattia, si apre un mondo di possibilità, e di speranza.
Perché la malattia porta via: funzioni del cervello, del pensiero, dell’orientamento, del ricordo, del linguaggio, della memoria, vengono disturbate oppure compromesse.
Queste funzioni si trasformano in realtà, lasciando spazio a nuovi linguaggi e modalità di relazione. Resta la memoria del cuore, perché ricordiamo che le persone che convivono con la demenza continuano a percepire le proprie e altrui emozioni fino alla fine.

Per questo dobbiamo diventare capaci di nuove letture e di modalità di relazione che tengano acceso quel piccolo nocciolino che è l’amigdala, responsabile di tutta l’emozione che ancora vive nella persona.
Per questo dobbiamo sempre ricordare che prima della malattia, c’è la persona, ricca di bellezza e di sfumature. Possiamo diventare costruttori di nuove relazioni, partendo dalla storia della persona, che ci consentono di vivere e far vivere, fino all’ultimo respiro.

Nel mio percorso di assistente sociale, in casa per anziani, ho avuto l’onore, insieme alla fatica, di aiutare Pietro a potare degli alberi, lui che era solito arrampicarsi sugli armadi, permettendogli di scendere, senza rischi.
Ho cantato con Gianna, per tante tante sere, quella canzone che lei da mamma cantava alle sue bambine per farle addormentare.
Ho pianto e riso con Antonio, quando siamo riusciti a tornare a teatro, la sua passione più grande. Lui che viveva per l’opera e che era così rilassato che è riuscito ad addormentarsi nel foyer tra un brano e l’altro.
Mi sono seduta accanto a Rosanna, in silenzio. Abbiamo unito il nostro respiro, finchè il suo, di figlia disperata perché era tardi, doveva rientrare a casa e la mamma l’aspettava, non si è rasserenato.

Ho scoperto grazie a questi maestri quanto di bello possiamo fare per costruire il tempo che resta e trasformarlo in tempo di vita e di amore, nonostante la malattia.

 

Deborah De Angelis                                                                                                                                   Assistente sociale, vice-presidente Associazione Oltre Lacura